Scurdijata mon amour (e pure di Capossela!)

C’è un posto nell’estremità meridionale del Capo di Leuca, un paesino di 1700 anime – piccolo come il nome che porta, Patù – che attende silente nei secoli, immobile tra ulivi e vecchi furnieddhri (avete presente i trulli?). È come fare un viaggio nel tempo, nell’Italia degli anni 50 con le nonnine sedute sull’uscio di casa a ricamare e i compagni di una vita, dalla pelle dura e arsa dal sole, di ritorno dai campi. Ecco, in questo piccolo angolo di Salento ancora intatto si trova un rifugio, chiamato Rua de li Travaj, dove sedersi a mangiare come se si fosse a casa, in un’atmosfera rilassata e senza tempo. Qui nessuno ti dirà di lasciare il tavolo, nonostante ce ne siano contati su una mano e Gino, il proprietario, vi racconterà aneddoti e storie che vi cattureranno, tra una portata e l’altra. È stato alla Rua che ho mangiato per la prima volta la Scurdijata, una ricetta che sta ormai scomparendo e che era il tipico piatto del contadino. Si prepara con pane raffermo fritto, piselli a pasta gialla e cicorine di campagna. Pare che anche Vinicio Capossela, che di Patù è cittadino onorario, ne vada matto e, quando si trova nel Salento, passa alla Rua a mangiarla. Ma per amor di Gino e della Scurdijata, mi raccomando, non lo dite troppo in giro.

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